[banner size=”300X250″]Quando la tua Patria è ingrata, unica soluzione è emigrare all’estero: le storie parallele di Agricantus, Nidi d’Arac …e Fiamma Fumana

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La musica etnica (world, folk o come vi piace chiamarla nelle sue sfumature) è per sua stessa natura ancorata ad un luogo. Direi che essa stia alla terra come il calore al camino. Ma coloro che la suonano, la cantano e la amano, che sono il suo variegato combustibile, spesso si spostano e la portano via, altrove. E’ sempre stato così, lo sappiamo, abbiamo ascoltato contaminazioni vere e presunte, con effetti a volte suadenti ed altre, diciamolo pure, anche disastrose (quando gli uomini si incontrano non fanno sempre cose belle, ma le fanno). Io ho preso le mie radici con i miei suoni e canti e sono arrivata in Germania. Fuggita? Sì, una fuga di lusso, con le valigie solide dentro una bella station wagon, ma sono fuggita, più lontano possibile da un paese che non funziona, più vicino possibile agli affetti, e dove ho potuto cogliere la buona occasione. La mia non è stata una fuga paragonabile a quella di mia zia negli anni sessanta o a quella di sua nonna negli anni trenta, non c’entrano niente l’una con l’altra se non nei risvolti passionali: sono tutte un po’ dolorose ma cariche di speranza e hanno un buon profumo di futuro, come il profumo dei bambini. E la musica nelle “fughe” ha un ruolo se di quella si mangia e si gioisce, nella nostra bella terra non ci sono più spazi per coloro che si fanno pagare, e chi suonava per hobby, (magari meglio dei “professionisti”) forse continua a suonare ma chi di musica lavorava, adesso di musica non mangia e non gioisce più. E allora via verso Barcellona, Monaco, Parigi e altre città dove i soldi sono un po’ di più e le opportunità potrebbero anche esserci. Ed anche se l’essere italiano non fa più simpatia, chiamarsi musicista ha ancora il suo fascino. E mi pare di capire che musicista etnico, nel senso che ha a che fare con la terra, richiama nell’ospite l’Italia Bella, quella che mette insieme Rinascimento, cultura alta e innovazione. Insomma, non solo pecorino e fantasia, ma tutto il bello che vi è intorno e soprattutto che è stato. I musicisti fuori casa sono molti in questa Europa nata già vecchia che forse, se avesse unito prima la musica delle acciaierie, le sarebbe valso di miglior auspicio. Invece oggi la terra che porta il nome della figlia di Agenore, rapita da Zeus, traballa, e sono tanti i mandolini, le voci e i suoni italiani che cantano sparsi nelle sue terre. Sono andata a cercare dei vecchi amici che prima di me si sono spostati: gli Agricantus e i Nidi d’Arac. Gli Agricantus sono dei pionieri delle contaminazioni colte ed hanno raccolto successi un po’ ovunque regalandoci brani indimenticabili, basti pensare a Carizzi z’amuri contenuta all’interno del bellissimo Tuareg (1996) e Luna Khina del 2007, con due voci da sempre emozionanti, quelle di Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr. I Nidi d’Arac rappresentano invece la generazione successiva (musicalmente parlando) che ha preso al volo l’occasione della contaminazione elettronica per unirla con le sonorità pugliesi nel loro momento fiorente senza rinunciare ad un gusto raffinato. Ho posto a loro le domande che pongo a me stessa quando apro la piva a Ostpark davanti agli sguardi curiosi dei tedeschi, per aprire insieme un confronto e qualche riflessione.

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Chiedo a Tonj Acquaviva anima degli Agricantus: quando sei andato via dall’Italia, la musica che peso ha avuto, se ne ha avuto, in questa scelta? In realtà già negli anni 80 vivevo più all’estero che in Italia. Dopo l’esperienza fatta vivendo per un periodo a fianco di artisti come Rosa Balistreri, Ciccio Busacca, Ignazio Buttitta etc… in occasione della rassegna musicale Antonino Uccello, decisi che il mondo era più grande di dove stavo e partii facendo l’esperienza anche di suonatore di strada. Quelli erano anni bui per Palermo, ogni giorno c’erano morti di mafia, l’aria era irrespirabile, necessitavo di “ossigeno” culturale: del resto, la musica, come l’arte tutta, vive di “energia” che assorbe dai luoghi per poi svilupparla. In quel periodo, il tipo di sperimentazione che Agricantus portava avanti, era una commistione tra musica popolare e musica altra (jazz/rock) una sorta di fusion dove l’improvvisazione la faceva da padrone. Abbiamo suonato in diversi festival europei arricchendoci di scambi con altri generi musicali per poi “rientrare” in Italia grazie al movimento musicale che si era generato agli inizi degli anni 90. Dopo l’ennesima rielezione del “solito premier” con zero attenzione per la cultura, nel 2008 ho smontato casa e studio di registrazione per andare a Barcellona. E a Barcellona cosa hai trovato, musicalmente parlando?A Barcellona si respira un’aria internazionale, è una città dove l’attenzione allo sviluppo urbano ha fatto sì che la città si impreziosisse, valorizzando la già fortunata posizione tra mare e monti, meta per molti visitatori che contribuiscono alla sprovincializzazione del territorio. Tutto questo ovviamente ha delle ripercussioni dirette sulla musica che qui è rappresentata da svariati festival. La tua musica in che modo è legata ai luoghi in cui vivi? Il mio mondo di riferimento musicale più che ad un luogo è legato ad un mondo “parallelo” fatto sia di suoni esistenti che inventati, sin dall’inizio della mia carriera artistica l’interesse per la musica andina fatta di suoni arcaici e ancestrali mi ha stimolato all’investigazione sonora, solo successivamente il mio interesse è stato attirato anche dai luoghi da me vissuti. Oggi il web, vera voce “democratica” della nostra era, agevola sia scambi che arricchimento personale. Come ti porti dietro la tua terra nel paese che ti ospita? Ovviamente la connotazione più forte nella musica Agricantus, che fa riferimento alla Sicilia, è la lingua siciliana, se pure affiancata da una grande varietà di altre lingue frutto degli studi di Rosie Wiederkehr. Il messaggio che da sempre ci ha accompagnato è la conoscenza del “diverso” e l’affermazione che prima del luogo di nascita e del colore della pelle, viene l’appartenenza a questa grossa sfera che è la madre terra, dove per un periodo facciamo tutti parte del viaggio collettivo. Come vedi l’Italia musicale? Quello che mi preoccupa, e non solo in Italia, è questa forma di “localismo” culturale. Non vedo più un interesse verso problematiche mondiali come l’ambiente o l’attenzione verso concetti che accomunano le popolazioni. Vedo il proliferare di musica locale vuota sia di reali riferimenti etnomusicologici che di ricerca sonora. Questo è dettato dal periodo di crisi che genera paura e la paura si sa genera “mostri”. In Millenium klima penultimo lavoro uscito a mio nome, con la collaborazione di Rosie Wiederkehr stimolato da una serie di lavori fatti per l’Onu, ho un pò affrontato alcune di queste tematiche, partendo dal fatto che le migrazioni dei popoli, per cause naturali o guerre, oltre ai tanti altri danni, portano con sé anche la scomparsa di alcuni suoni “etnici” legati al posto di provenienza, come il tehardent, la chitarra dei Tuareg o il Morin khuur, il violino dei Mongoli, messo sotto protezione dall’Unesco. Ecco, una visione più globale del mondo e di conseguenza della musica darebbe sicuramente più ricchezza, basti pensare alle commistioni musicali di gruppi storici come i Beatles, Led Zeppelin, Santana, Miles Davis, Weather Report, solo per citarne alcuni. Speriamo che con le nuove migrazioni non si perdano altri suoni preziosi. Puoi parlarci delle belle novità che riguardano gli Agricantus? Attualmente sto lavorando alle musiche per una serie di documentari che affrontano il tema dell’arte in Italia dall’unificazione ai giorni nostri, e che andranno in onda su Rai1 col titolo “L’Italia unita nell’arte”. Stiamo affinando le prove per il live con i nuovi musicisti, Mauro Sigura (Sardegna) ai plettri etnici, Guille Mokotoff (Argentina) al basso, che oltre a me, e agli altri due componenti storici, la cantante svizzera Rosie Wiederkehr ed il chitarrista italo/svedese Lutte Berg formano l’attuale combo Agricantus. Inoltre stiamo lavorando al nuovo disco che uscirà ad ottobre e sarà arricchito di collaborazioni con musicisti provenienti da diversi paesi del mondo che aggiunti alla formazione multietnica della band farà il vero suono “world” Agricantus. Auguro a Tonj tutte le fortune che si merita e non vedo l’ora di ascoltare il nuovo disco degli Agricantus.

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