Dialetto d’autore – Agricantus by Tonj Acquaviva – Intervista a Tonj Acquaviva by Alessandra D’Angelo (SBS)

Intervista a Tonj Acquaviva by Alessandra D’Angelo.

Nella seconda puntata dedicata alla musica pop italiana cantata in dialetto ospitiamo Tonj Acquaviva, fondatore del gruppo Agricantus, che ha fatto del siciliano la sua bandiera.

LINK:   Dialetto d’autore – Agricantus by Tonj Acquaviva

 

agricantus acquaviva

Tonj Acquaviva: diventare arrangiatore e produttore nella World Music

kuntarimari

Acquaviva already Agricantus

Francesco Nano :  Buongiorno a tutti da Francesco Nano, benvenuti a Scuolasuono.it e in  Summer Productive, la rassegna dedicata alle interviste con i tecnici del suono e agli addetti del settore musicale:  potremmo definirlo il Campus Digitale della Produzione Musicale 3.0, la produzione di ultima generazione. Oggi abbiamo con noi un ospite molto particolare, rispetto agli altri: non è verde con le antennine, ha tutte e cinque le dita, due braccia e due gambe, però è un musicista, un arrangiatore  e produttore veramente particolare , stiamo parlando di Tonj Acquaviva.

Tonj Acquaviva: Ciao Francesco.

F. N. : Come stai Tonj, tutto bene?

T. A. : Si, si, bene, bene. In questa Barcellona assolata oggi facciamo questa chiacchierata.

F. N. : Ho fatto questa introduzione così particolare per la tua figura,  perché oggi andremo a parlare con te di qualche cosa che è differente rispetto a quello di cui parliamo con gli altri tecnici e produttori: parleremo del proprio sogno musicale, del fatto di inseguirlo fino in capo al mondo, come hai fatto tu. Ci racconterai la tua storia, vedremo anche una parte  più tecnica dedicata al Sampling Vocale,  perché é tra le tecniche che tu utilizzi  nelle produzioni,  e ci racconterai un qualche dettaglio tecnico. Questa  seconda parte, la riserviamo agli allievi di Recording Turbo System, la scuola di Home Recording Professionale su Scuolasuono.it/corsotecnicodelsuono […]

Nella prima parte  ci concentreremo proprio sul discorso musicale e sul sogno musicale, quindi la prima domanda che ti faccio è, Tonj, se ti và di raccontarci quale è stata la tua storia, almeno brevemente e  per sommi capi, visto che hai fatto un botto di produzioni, di lavori, di concerti; sarà molto interessante seguirti in questa avventura. Prego, a te la parola.

Tonj Acquaviva (Agricantus)

Tonj Acquaviva (Agricantus)

T. A. : Ho iniziato quando avevo 16 anni a fare concerti quindi un po’ di tempo fa, è stato, come dicevi, un inseguire il sogno perché in realtà mi sono spostato fisicamente parecchio. Io sono di Palermo, ho iniziato a Palermo a suonare, a interessarmi dei suoni che un po’ stavano andando nel dimenticatoio, come si suol dire, cioè quei suoni che vengono da un mondo che è un mondo lontano, un mondo di strumenti fatti artigianalmente, il Friscaletto fatto con una canna con i buchi, piuttosto che i Tamburi fatti artigianalmente: erano degli strumenti che mi appassionavano, da li questa curiosità l’ho spostata a tutto il mondo e quindi a tutti quei suoni che in realtà vanno verso, purtroppo, l’estinzione. Alcuni, non tutti.

Quindi c’è stato un amore protettivo verso questi suoni e da Palermo ho iniziato a spostarmi, sono stato in giro in Europa:  facevamo, mi ricordo, dei tour veramente fuori di testa perché si suonava prima  a Caltanissetta e il giorno dopo eri al nord dell’Olanda, ti eri fatto in pulmino con 9 persone, gli strumenti e i bagagli, tutta la nottata in viaggio…

F. N. : Tu sei un percussionista, cantante, batterista oltre che in studio produttore e arrangiatore polistrumentista, giusto? Quindi nel live la parte delle percussioni, la parte, se vogliamo, più ingombrante del Backline.

T. A. : Esatto.

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Agricantus

Agricantus

Agricantus Acquaviva

F. N. : Quindi ti hanno sempre amato tutti quanti.

T. A. : Si, si, guarda, ad esempio quando arrivava il 1° Maggio, in quelle occasioni, quando c’è sempre tensione, perché c’è la TV, mi amavano molto devo dire: “Ma una batteria convenzionale no? Tutto questo set …”. Come in tutte le cose se tu hai curiosità e vuoi ricercare, chiaramente, devi passare anche dalle difficoltà, chiamiamole così, che comunque sono stimoli.

F. N. : Ci raccontavi di questi tour con il pulmino, in 9 persone, che band era quella all’epoca?

T. A. : Guarda sempre Agricantus perché, come ti dicevo,  l’attenzione l’ho poggiata da subito su questi suoni  del mondo, chiamiamoli così, per intenderci. Quindi il gruppo in realtà è rimasto. Il contenitore è uguale  mentre il contenuto è cambiato,  perché son passati tantissimi musicisti, anche nell’ultimo album che ho fatto ci sono molti ospiti, è stato sempre un contenitore di incontri e di scambi con musicisti di tutto il mondo. Nell’ultimo album c’è una cantante Maori, c’è un cantante turco, un altro cantante tunisino, c’è il chitarrista italo-svedese, c’è un suonatore di Bansuri che è un flauto meraviglioso, indiano, del Nepal, ne dimentico qualcuno? Un bassista argentino..

F. N. : Parla di World Music nel vero senso della parola.

T. A. – Esatto si, nel senso che mi piace l’incontro e lo scambio a 360 gradi, a partire  da… “che cosa ascoltavi tu in Argentina quando avevi 18 anni?” a… “cosa mangi?” Da li si può costruire realmente  un dialogo musicale, perché c’è la curiosità reciproca. Non si suona così tanto per dare delle tonalità o delle armonie ma si suona per fondere dei mondi apparentemente lontani ma che poi hanno una matrice comune, io dico sempre che è un fil-rouge, la Madre Terra. Alla fine siamo tutti sopra questa palla, no?

F. N. : Questa meravigliosa mamma che ci sopporta.

T. A. : Che alcune volte non trattiamo molto bene, però..

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F. N. : Speriamo che ci sopporti ancora. Allora, Tonj, eravamo arrivati in Olanda, con questi pulmini stracarichi, come è proseguita poi la tua evoluzione musicale, personale, come è stato il tuo percorso in questi anni?

T. A. : Arrivati a un certo punto, molto presto, stiamo parlando dell’80, ’81, ’82, ero molto piccolo, ho avuto la fortuna di incontrare delle persone molto importanti che erano fra gli ultimi portatori di un certo tipo di suoni e culture del Sud, ti parlo di Ignazio Buttitta che è stato un poeta molto famoso siciliano; ti parlo di Ciccio Busacca che era un cantastorie strepitoso: Ciccio cantava con la chitarra e con un cartellone, allora avevano il cartellone per spiegarti la storia, perché  il cantastorie era una figura importante nel dopoguerra; non c’erano le Tv e allora raccontavano delle storie come la Tv adesso, e andavano di paese in paese a raccontare delle cose che erano successe all’altro lato dell’isola o comunque in Italia etc., e lui quando cantava  ti poteva inchiodare per due ore anche se eri, per quei tempi, un super appassionato di computer, o di quello che vuoi tu. Questo uomo piccolino con la chitarra ti inchiodava e tu rimanevi così, per tutto il tempo, con questa carica e questa passione mentre  ti raccontava queste storie.

Questo me lo ricordo bene, comunque lui è stato con Dario Fo nella Comune di Milano, un personaggio molto particolare. E quindi era un’associazione che si rivolgeva e faceva appunto riferimento ad Antonino Uccello che era un ricercatore, un Etno-antropologo siciliano, e lì passavano tutti questi personaggi; Rosa Balistreri che è un’altra cantante siciliana molto famosa ai tempi. Mi ha aiutato quel mondo  ad ingigantire sempre di più questa mia curiosità verso cose che normalmente in radio non si sentivano. Io ero un appassionato di Led Zeppelin, Genesis, tutta la roba che veniva da Canterbury,  una scena che mi interessava proprio per il suono in sé. Però queste persone mi portavano in un altro mondo, quindi dicevo “Ma perché poi queste persone non si sentono tanto fuori?”.

Allora andavi a ricercare, sempre di più , e sono passato anche a questa curiosità per i suoni del mondo, perché a quei tempi c’erano gli Inti-Illimani con cui poi siamo diventati, con alcuni di loro, amici, era un gruppo cileno, e sono passato ad interessarmi di suoni che venivano da altri continenti, nel loro caso dal Sud-America e poi, come ti dicevo, cominciavamo a girare, a girare sempre di più. Ho fatto anche il suonatore di strada, dalla Svizzera, all’Austria, la Germania a un po’ tutta l’Europa, stavi nel ring  e a me è sempre piaciuta l’adrenalina.

strumenti latino america

charango andino

F. N. : Tu sei un animale da palco, mi pare di capire.

T. A. : Si, sono anche un animale da Studio però,  in Studio mi piace non sedermi ma avere sempre il ”Power“, come diceva Miles Davis: “Marcus Miller mi piace perché ha un Power che mi invoglia a fare delle cose che altrimenti non farei,  perché dopo un’ora non sono più concentrato” e quello è il problema dello Studio, devi sempre distrarti. La distrazione può essere un dolce, una birra, una ragazza, quello che vuoi tu, però devi ritornare sempre presente perché si rischia spesso di andare verso strade dove non c’è la “presenza”.

F. N. : Penso di non aver forse afferrato quello che intendevi dire, nel senso che lo Studio, secondo te, ti porta a distrarti più facilmente che il live? Ad essere meno presente? Oppure dici che un metodo per riuscire meglio nello Studio è distrarsi e riprendere la concentrazione? Non ho capito esattamente quale delle due.

T. A. : Esattamente questo, cioè un’amica ad esempio che ti viene a trovare o un amico, ti può in quel momento staccare dai cursori o dallo schermo, e ciò ti può dare una carica in più. Chiaramente debbono essere cose positive… chiaro, no? Parlo di cose belle che ti danno comunque carica.

F. N. : Non Equitalia che arriva..

T. A. : No, no! … a differenza del palco,  dove comunque c’è la gente e sei con l’adrenalina, quindi raramente mi è capitato di vedere dei musicisti addormentarsi,  in Studio stai seduto e dopo un’oretta si abbassa l’attenzione,  magari ti sembra tutto perfetto ma poi in realtà hai perso la concentrazione, il Power della concentrazione. Per quello è meglio staccare, farsi una passeggiata, fare insomma quello che vuoi, per ricaricarti e poi rientrare:  si, in realtà mi piacciono entrambe le cose, l’importante è che ci sia energia, energia buona.
F. N. : Bello questo concetto di energia.[…]mi piace molto.
Possiamo trarre un messaggio dalla tua evoluzione, dalla tua storia:  che cosa vorresti dire ai ragazzi che iniziano, a coloro che credono nella musica, che vogliono fare i musicista o il produttore? Perché di questo ne avevamo parlato nella prima telefonata che abbiamo fatto per concordare l’intervista, e mi piacerebbe molto che venisse fuori.

T. A. : Beh,,,Sicuramente io posso  parlare della mia esperienza e del mondo attorno a me. Penso che la cosa importante è fare le cose giocando seriamente, è l’unica strada che ti può portare da qualche parte. Se giochi non seriamente, non vai da nessuna parte. Ma se sei troppo serio, senza il gioco, il tutto diventa noioso.

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Agricantus

F. N. : Cosa vuol dire giocare seriamente per te?

T. A. : Giocare significa innamorarsi ad esempio di uno strumento del Madagascar e fare di tutto per arrivare ad averlo, incontrarlo, o chi lo suona, il mondo dove stà, oppure i materiali da dove vengono, cioè è un gioco. Nella vita il gioco è importante perché se la ludicità non c’è tutto diventa, come dire di mestiere… diventa vuoto. Chiaramente, soprattutto per chi inizia, è importante avere un obiettivo, una ragione tua:  è come quando, nella vita penso sia un po’ così, se tu ti innamori di una persona, ti innamori perché ci trovi delle cose che tu vorresti… La musica è uguale,… se tu entri nel mondo della musica devi arrivare a capire cos’è la cosa che vuoi da lei, e trasmetterla innanzitutto a te e poi agli altri.

Nel mio caso, come dicevo, è stata la curiosità per tutto questo mondo di suoni…ma nel caso ad esempio di Peter Erskine, batterista dei Weather Report alla domanda “Cos’è che ti spinge ad andare avanti nella ricerca, cosa diresti ai giovani?”  lui ha detto “Fate un figlio”. Siamo rimasti: ma come fate un figlio! Lui voleva dire che  se tu fai un figlio, hai uno stimolo;  nel suo caso si parlava di tecnica di batteria, hai uno stimolo ad andare avanti, perché comunque hai una responsabilità in più, hai una ragione in più, hai una cosa in più, e quel di più se lo incanali nel tuo lavoro praticamente diventa il massimo in quel momento per te.

F. N. : Molto spesso si pensa che i figli siano un impedimento al mondo musicale.

T. A. : Si, e invece non è così, è una concezione sbagliata. Un altro che mi viene in mente ad esempio, parlando di figli, è il cantante Bobby McFerrin, che è un cantante eccezionale di Jazz: lui addirittura ha preso suo figlio se lo è messo in spalla e ha fatto uno show facendo cantare pure lui.. Bob è eccezionale perché riesce a fare e ad armonizzare con la voce qualsiasi cosa, però ha messo suo figlio in scena, su You Tube penso ci siano delle cose, se vedi quei concerti sono strepitosi perché era con suo figlio, quindi irradiava, ritornando al nostro concetto di energia, irradiava energia molto, molto forte. Qualsiasi cosa ti può dare gioco serio è importante per iniziare, andare avanti e ricercare, ricercare soprattutto ricercare.

F. N. : Ricercare, ok. L’aspetto della lucidità è fondamentale insomma per un musicista, per andare avanti.

T. A. : Io penso di si.

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Agricantus by Acquaviva live a Barcellona

F. N. : Fino a dove bisogna spingersi per seguire il proprio sogno musicale? Cosa hai fatto tu per assecondare la passione, il fuoco che avevi dentro, del diventare musicista e di vivere di musica?

T. A. : Nel mio caso diciamo… abbastanza, perché ad esempio io adesso sto a Barcellona, in Spagna, perché come diceva sempre Miles Davis ti devi spostare a seconda di dove in quel momento c’è “terreno fertile”, lui per esempio a un certo punto se ne andò a Parigi per seguire il suo sogno musicale, per poi ritornare  negli Stati Uniti, quindi sono sempre viaggi temporanei che non sai mai quanto durano, non sai mai dove vai a finire. Questo per spiegarti  che se tu in un posto non riesci a sviluppare, perché in quel momento  una serie di strade ti richiedono cose che non sono per te giocose, non sono di ricerca, allora io sono disposto anche a cambiare territorio. L’ho fatto diverse volte, per andare ad incontrare persone e situazioni che ti possono in quel momento dare molto di più.

Questa era un’altra cosa che diceva anche un regista famoso: “ Io vado là dove ci sono le occasioni ” e le occasioni chiaramente te le devi creare; se stai spesso in un posto, ad esempio, se io fossi rimasto a Palermo, sicuramente avrei un altro percorso musicale, non avrei incontrato tutte queste persone. Io adesso, grazie al fatto di essere arrivato a Barcellona, che è una città comunque internazionale,  ho fatto un disco con musicisti di tutto il mondo e magari in un altro posto sarebbe stato un po’ difficoltoso metterli assieme.

Quindi nel mio caso mettersi in gioco per seguire il sogno è tutto, bisogna però togliere la paura, perché quella, la paura, è un’altra cosa che ti può bloccare:  la paura del cambiamento, la paura di cosa vai ad incontrare, la paura di cambiare lingua, paura del diverso. Le paure bloccano, invece se tu non hai paura dici “ Andiamo a vedere che fanno nel deserto del Mali, perché no?” . Certo io te lo semplifico, ci possiamo anche un po’ scherzare, non è che su due piedi fai una cosa così, però se la pianifichi, se il tuo obiettivo è di andare a incontrare un Sound, una persona.. Io ho tanti amici che sono andati a New York per vedere come è suonare con il Beat Newyorkese, la batteria:  loro hanno questo Beat molto  avanti rispetto agli europei che sono un pochino più seduti, ma se tu non vai sul posto… devi andare lì se vuoi ricercare un certo tipo di Beat, ad esempio per quanto riguarda la batteria a New York c’è tutto uno stile, una scuola fatta di fraseggi un pò più nervosi, più anticipati di quelli che sono i fraseggi batteristici  europei che seguono una maniera di suonare invece più di accompagno, più seduta. Del resto c’è una scuola infinita, prima avevo citato Peter Erskine,…c’è Omar Hakim, Steve Gadd,  ce ne sono a bizzeffe: Jeff Porcaro etc.
C’è gente che per inseguire il suo sogno è andata sul posto, questo per sottolineare quello che appunto dicevamo prima, l’ importante è impegnarsi. La cosa che invece dico sempre di evitare è il compra facile, ovvero il prendere una chitarra, andare da un coiffeur e farti bellino bellino, cantare e.. Quella non è una strada vincente, può sembrarlo, lo può essere nel medio raggio, però se vuoi fare un percorso artistico che abbia comunque un senso ti devi impegnare, impegnare abbastanza, però sempre giocando, è importante.

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Tonj Acquaviva Deserto del Sahara

F. N. : Vorrei farti una domanda  più filosofica, se me lo consenti. Quanto è importante secondo te, nella vita di una persona, quindi al di là del musicista, inseguire il proprio sogno?

T. A. : E’ importantissimo.

F. N. : Perché?

T. A. : E’ importantissimo, rimaniamo chiaramente nel campo musicale perché questa domanda si può allargare a tutta la vita, no?

F. N. : Possiamo allargarla, nessuno ci punta la pistola, dì tranquillamente quello che ti senti.

T. A. : E’ importante perché io ho conosciuto anche dei musicisti frustrati: se tu rinunci hai quella malinconia dell’occasione persa. E’importante andare a fondo perché comunque hai fatto il massimo. Se hai fatto il massimo sei soddisfatto, anche se hai fatto il massimo e hai raccolto poco però hai fatto il massimo per quello che potevi fare tu. Se rinunci è brutto, lo si sente poi, anche nella vita è così. Quante volte dici “un’ occasione mancata!”  e  ti rimane quel sapore un po’ così.

Se le occasioni mancate si sommano chiaramente la tua energia si abbassa, se invece ti butti dentro le situazioni sappiamo che l’autostima, senza eccedere nel super ego, è importante e quindi dirsi “ Io mi sono buttato in questa situazione e più di tanto non potevo fare, però sono riuscito almeno ad entrare in questa scommessa.” perché è sempre una scommessa, una situazione piuttosto che un’altra.

F. N. : Forse è importante guardarsi allo specchio e potersi dire “Bé io ci ho provato” no? Ce l’ho messa tutta.”.

T. A. : Si, ad esempio nel mio caso devo dirti, ultimamente, perché di questi esempi ne avrei a bizzeffe, però l’ultimo che riguarda appunto Kuntarimari:  io avevo in testa quest’album pieno di sonorità, di sonorità liquide perché è molto connesso all’elemento acqua, e in Italia mi hanno fatto delle proposte indecenti, come si suol dire…

F. N. : Cioè?

T. A. : “Taglia quì, taglia là”, una tarantella in più… sono rimasto sconvolto perché l’ultima tarantella l’ho fatta negli anni ’90 ed era Maaria, abbastanza psichedelica fra l’altro, cioè era una pizzica fatta sempre con l’ausilio degli MPC che sono queste macchine elettroniche… i Campionatori per cui, come dire…avevo preso l’essenza anche lì. Era l’essenza della pizzica, un essenza di trance, di musica che ti fa entrare in uno stato comunque alterato, e riproponevamo, sul palco, quel tipo di situazione… non dico che andavamo veramente in trance, però quasi.

Erano dei suoni che entravano,… io avevo delle voci campionate che entravano, facendo un “Left-Right” molto vertiginoso che ti mandava fuori con questa ritmica che era partita dalla Pizzica però prendeva anche alcuni suoni dal Maghreb…insomma, questo per dirti che se io negli anni ’90 ho fatto già una ricerca che và oltre un po’ a quello che è la riproposizione tradizionale,  se tu produttore mi vieni a proporre adesso di fare una musica più tradizionale, che guardi solo alla Sicilia, io mi sento catapultato a quando avevo 16 anni, allora non và: sarebbe stata una strada più semplice però anche più frustrante perché non è quello che volevo fare, ecco.

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F. N. : Posso rimanere sul filosofico?

T. A. : Chiaro, si.

F. N. : Secondo te, tu sei una persona che ha avuto la fortuna, oppure.. Io nella fortuna non è che ci creda poi tanto, diciamo che hai avuto  il coraggio di iniziare da giovane, forse avrai avuto anche un ambiente stimolante, non conosco i dettagli della tua vita, però la domanda è questa: una persona che si ritrova a 40 anni a dire “Ma io volevo fare il musicista e non l’ho fatto” secondo te ha ancora uno spazio per dire “ Va beh mi ci butto, ci provo”. Puoi rispondere anche di no, non devi rispondere di si.

T. A. : Io penso che puoi fare quasi tutto, se lo vuoi. Avevo un’amica che aveva 65 e passa anni di Zurigo, si era annoiata di stare lì,  era un’artista, faceva maschere e costumi per il carnevale che è molto forte in Svizzera, era nell’ambiente artistico di Zurigo ed  a un certo punto annoiata di stare lì, aveva inseguito un suo sogno, che era quello di abitare in Italia, e l’ha realizzato:  a 65 anni è andata in un casolare in Maremma, messo abbastanza male, l’ha ristrutturato, ha piantato duemila fiori, è diventato un centro di incontro per diversi artisti da tutta Europa ed  è stata benissimo.

Una cosa che non si può neanche esprimere a parole, era bellissimo da vedere perché era la sua energia che aveva messo lì;  quindi si, si può fare, dipende sempre da te. Magari se lei fosse rimasta a Zurigo si sarebbe annoiata e si sarebbe persa invece quella fascia di incontri e di emozioni che ha avuto in questa occasione.

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Tonj Acquaviva China Hulusi

F. N. : Altra domanda. Capita anche a te di sentire che nella musica di oggi, tendenzialmente, non in tutto, però tendenzialmente c’è meno energia rispetto a quella che siamo abituati ad ascoltare nei dischi anni ’60, ’70, ’80; è una percezione che ho e che sto condividendo con diverse persone però non tutte sono d’accordo:  tu come la vedi?

T. A. : Si e no. Si per  quanto riguarda tutto un filone di musica che in realtà era più energetico prima,  però si è esaurito;  questa è una discussione che  sia Zawinul che era la mente dei Weather Report sia Davis avevano già detto una cosa che era interessante al riguardo, dicevano “Se la musica non si apre , non si commistiona alle musiche altre,  si andrà dritti sparati verso un vicolo cieco, ti troverai a 200 all’ora con un muro davanti e ti ci schianterai”. In realtà loro erano stati dei precursori di quell’allargamento che poi c’è stato negli anni ’90 verso la World Music, da dove si è tratto e si continua a trarre molta linfa vitale.

Mi spiego meglio, l’altro giorno stavo ascoltando un gruppo di musicisti indiani commistionato con strumenti elettrici. Loro hanno un’energia come l’avevano i gruppi come  i Genesis negli anni d’oro; se invece andiamo a vedere un gruppo analogo, occidentale, che non ha fatto commistioni, non hanno questo tipo di energia. Ad esempio agli Oasis, il primo gruppo che mi viene in mente, manca come dire di linfa vitale.

I cicli:  tu fai sempre un giro: l Blues fatto da B.B. King ha un tipo di energia chiaramente diverso da chi continua a fare Blues perché B.B. King l’ha “scoperto”, ha quel tipo di emozione, perché gli ricorda certe cose, che erano agli inizi e lui andava da pioniere,  ma se tu adesso prendi la chitarra e fai sempre il solito giro è chiaro che ti manca un po’ l’energia: Magari se fai quel giro di Blues con un suonatore, che ne so, del Mali, per affinità musicali, come Ali Farka Touré allora  esce fuori una cosa da far paura, perché è una cosa nuova e commistionata, ti ritrovi delle cose a metà tra i Tuareg e il Blues. Tu sai che la prima volta che Ali Farka Touré suonò dissero “Ma questo è Blues” e lui disse “No, questa è la mia musica, viene dal deserto, non lo so se è Blues!”.

 

Tonj Acquaviva (Agricantus)

Tonj Acquaviva (Agricantus)

Grazie a Francesco Nano e a Scuolasuono

 

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Agricantus, il ritorno: “Kuntarimari” (Repubblica TV)

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Ecco il video in bianco e nero di Divinità dall’ultimo album Agricantus “Kuntarimari”, in parte tratto da un vecchio documentario degli anni Cinquanta sulle tonnare di Favignana, scelto perché il tema della canzone è il mare. In questo brano Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr, leader storici della formazione, ospitano Jaka, cantante ragamuffin siciliano, il flautista nepalese Binod Katuwal ed il bassista argentino Guille Mokotoff.

 

http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/agricantus-il-ritorno-kuntarimari/137762/136305

martedì 25 giugno 2013 intervista con TONJ ACQUAVIVA, PRODUTTORE ARTISTICO di AGRICANTUS. Scuolasuono Summer Productive

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MUSICISTI IN “FUGA” di Jessica Lombardi – LINEATRAD magazine – Interviste 6/2012

[banner size=”300X250″]Quando la tua Patria è ingrata, unica soluzione è emigrare all’estero: le storie parallele di Agricantus, Nidi d’Arac …e Fiamma Fumana

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La musica etnica (world, folk o come vi piace chiamarla nelle sue sfumature) è per sua stessa natura ancorata ad un luogo. Direi che essa stia alla terra come il calore al camino. Ma coloro che la suonano, la cantano e la amano, che sono il suo variegato combustibile, spesso si spostano e la portano via, altrove. E’ sempre stato così, lo sappiamo, abbiamo ascoltato contaminazioni vere e presunte, con effetti a volte suadenti ed altre, diciamolo pure, anche disastrose (quando gli uomini si incontrano non fanno sempre cose belle, ma le fanno). Io ho preso le mie radici con i miei suoni e canti e sono arrivata in Germania. Fuggita? Sì, una fuga di lusso, con le valigie solide dentro una bella station wagon, ma sono fuggita, più lontano possibile da un paese che non funziona, più vicino possibile agli affetti, e dove ho potuto cogliere la buona occasione. La mia non è stata una fuga paragonabile a quella di mia zia negli anni sessanta o a quella di sua nonna negli anni trenta, non c’entrano niente l’una con l’altra se non nei risvolti passionali: sono tutte un po’ dolorose ma cariche di speranza e hanno un buon profumo di futuro, come il profumo dei bambini. E la musica nelle “fughe” ha un ruolo se di quella si mangia e si gioisce, nella nostra bella terra non ci sono più spazi per coloro che si fanno pagare, e chi suonava per hobby, (magari meglio dei “professionisti”) forse continua a suonare ma chi di musica lavorava, adesso di musica non mangia e non gioisce più. E allora via verso Barcellona, Monaco, Parigi e altre città dove i soldi sono un po’ di più e le opportunità potrebbero anche esserci. Ed anche se l’essere italiano non fa più simpatia, chiamarsi musicista ha ancora il suo fascino. E mi pare di capire che musicista etnico, nel senso che ha a che fare con la terra, richiama nell’ospite l’Italia Bella, quella che mette insieme Rinascimento, cultura alta e innovazione. Insomma, non solo pecorino e fantasia, ma tutto il bello che vi è intorno e soprattutto che è stato. I musicisti fuori casa sono molti in questa Europa nata già vecchia che forse, se avesse unito prima la musica delle acciaierie, le sarebbe valso di miglior auspicio. Invece oggi la terra che porta il nome della figlia di Agenore, rapita da Zeus, traballa, e sono tanti i mandolini, le voci e i suoni italiani che cantano sparsi nelle sue terre. Sono andata a cercare dei vecchi amici che prima di me si sono spostati: gli Agricantus e i Nidi d’Arac. Gli Agricantus sono dei pionieri delle contaminazioni colte ed hanno raccolto successi un po’ ovunque regalandoci brani indimenticabili, basti pensare a Carizzi z’amuri contenuta all’interno del bellissimo Tuareg (1996) e Luna Khina del 2007, con due voci da sempre emozionanti, quelle di Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr. I Nidi d’Arac rappresentano invece la generazione successiva (musicalmente parlando) che ha preso al volo l’occasione della contaminazione elettronica per unirla con le sonorità pugliesi nel loro momento fiorente senza rinunciare ad un gusto raffinato. Ho posto a loro le domande che pongo a me stessa quando apro la piva a Ostpark davanti agli sguardi curiosi dei tedeschi, per aprire insieme un confronto e qualche riflessione.

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Chiedo a Tonj Acquaviva anima degli Agricantus: quando sei andato via dall’Italia, la musica che peso ha avuto, se ne ha avuto, in questa scelta? In realtà già negli anni 80 vivevo più all’estero che in Italia. Dopo l’esperienza fatta vivendo per un periodo a fianco di artisti come Rosa Balistreri, Ciccio Busacca, Ignazio Buttitta etc… in occasione della rassegna musicale Antonino Uccello, decisi che il mondo era più grande di dove stavo e partii facendo l’esperienza anche di suonatore di strada. Quelli erano anni bui per Palermo, ogni giorno c’erano morti di mafia, l’aria era irrespirabile, necessitavo di “ossigeno” culturale: del resto, la musica, come l’arte tutta, vive di “energia” che assorbe dai luoghi per poi svilupparla. In quel periodo, il tipo di sperimentazione che Agricantus portava avanti, era una commistione tra musica popolare e musica altra (jazz/rock) una sorta di fusion dove l’improvvisazione la faceva da padrone. Abbiamo suonato in diversi festival europei arricchendoci di scambi con altri generi musicali per poi “rientrare” in Italia grazie al movimento musicale che si era generato agli inizi degli anni 90. Dopo l’ennesima rielezione del “solito premier” con zero attenzione per la cultura, nel 2008 ho smontato casa e studio di registrazione per andare a Barcellona. E a Barcellona cosa hai trovato, musicalmente parlando?A Barcellona si respira un’aria internazionale, è una città dove l’attenzione allo sviluppo urbano ha fatto sì che la città si impreziosisse, valorizzando la già fortunata posizione tra mare e monti, meta per molti visitatori che contribuiscono alla sprovincializzazione del territorio. Tutto questo ovviamente ha delle ripercussioni dirette sulla musica che qui è rappresentata da svariati festival. La tua musica in che modo è legata ai luoghi in cui vivi? Il mio mondo di riferimento musicale più che ad un luogo è legato ad un mondo “parallelo” fatto sia di suoni esistenti che inventati, sin dall’inizio della mia carriera artistica l’interesse per la musica andina fatta di suoni arcaici e ancestrali mi ha stimolato all’investigazione sonora, solo successivamente il mio interesse è stato attirato anche dai luoghi da me vissuti. Oggi il web, vera voce “democratica” della nostra era, agevola sia scambi che arricchimento personale. Come ti porti dietro la tua terra nel paese che ti ospita? Ovviamente la connotazione più forte nella musica Agricantus, che fa riferimento alla Sicilia, è la lingua siciliana, se pure affiancata da una grande varietà di altre lingue frutto degli studi di Rosie Wiederkehr. Il messaggio che da sempre ci ha accompagnato è la conoscenza del “diverso” e l’affermazione che prima del luogo di nascita e del colore della pelle, viene l’appartenenza a questa grossa sfera che è la madre terra, dove per un periodo facciamo tutti parte del viaggio collettivo. Come vedi l’Italia musicale? Quello che mi preoccupa, e non solo in Italia, è questa forma di “localismo” culturale. Non vedo più un interesse verso problematiche mondiali come l’ambiente o l’attenzione verso concetti che accomunano le popolazioni. Vedo il proliferare di musica locale vuota sia di reali riferimenti etnomusicologici che di ricerca sonora. Questo è dettato dal periodo di crisi che genera paura e la paura si sa genera “mostri”. In Millenium klima penultimo lavoro uscito a mio nome, con la collaborazione di Rosie Wiederkehr stimolato da una serie di lavori fatti per l’Onu, ho un pò affrontato alcune di queste tematiche, partendo dal fatto che le migrazioni dei popoli, per cause naturali o guerre, oltre ai tanti altri danni, portano con sé anche la scomparsa di alcuni suoni “etnici” legati al posto di provenienza, come il tehardent, la chitarra dei Tuareg o il Morin khuur, il violino dei Mongoli, messo sotto protezione dall’Unesco. Ecco, una visione più globale del mondo e di conseguenza della musica darebbe sicuramente più ricchezza, basti pensare alle commistioni musicali di gruppi storici come i Beatles, Led Zeppelin, Santana, Miles Davis, Weather Report, solo per citarne alcuni. Speriamo che con le nuove migrazioni non si perdano altri suoni preziosi. Puoi parlarci delle belle novità che riguardano gli Agricantus? Attualmente sto lavorando alle musiche per una serie di documentari che affrontano il tema dell’arte in Italia dall’unificazione ai giorni nostri, e che andranno in onda su Rai1 col titolo “L’Italia unita nell’arte”. Stiamo affinando le prove per il live con i nuovi musicisti, Mauro Sigura (Sardegna) ai plettri etnici, Guille Mokotoff (Argentina) al basso, che oltre a me, e agli altri due componenti storici, la cantante svizzera Rosie Wiederkehr ed il chitarrista italo/svedese Lutte Berg formano l’attuale combo Agricantus. Inoltre stiamo lavorando al nuovo disco che uscirà ad ottobre e sarà arricchito di collaborazioni con musicisti provenienti da diversi paesi del mondo che aggiunti alla formazione multietnica della band farà il vero suono “world” Agricantus. Auguro a Tonj tutte le fortune che si merita e non vedo l’ora di ascoltare il nuovo disco degli Agricantus.